L’ufficializzazione della guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti, avvenuta il 5 gennaio 2025, segna un punto di svolta significativo per l’economia americana. Gli effetti si faranno sentire in vari ambiti, dai supermercati all’acquisto di tecnologia, fino ai costi per la difesa e alla transizione verso un’economia più verde. L’inflazione, che si profila all’orizzonte, sta già diventando un tema di preoccupazione per i cittadini americani. Sebbene la recessione possa sembrare un termine eccessivo per descrivere la situazione, è evidente che gli Stati Uniti devono prepararsi a una frenata economica, sia essa temporanea o duratura. La promessa di Donald Trump di risolvere le difficoltà economiche si scontra con un contesto di crescente incertezza, dove i mercati risentono della confusione generata dalle politiche commerciali e dai tagli alla spesa pubblica.
L’affermazione “no pain, no gain” è diventata un mantra tra i collaboratori di Trump, che sperano di rassicurare gli investitori preoccupati. Ma la domanda che aleggia nelle sale operative è se arriverà la cosiddetta “Trump put”, una sorta di intervento che potrebbe sostenere i mercati e invertire la rotta negativa. Durante il primo mandato di Trump, un calo del 10% degli indici azionari aveva innescato risposte rapide. Ora, la situazione è diversa e il termometro dei mercati è considerato un indicatore cruciale del successo politico di Trump.
L’indice S&P 500, che rappresenta il mercato azionario statunitense, mostra che solo il 59% dei ricavi proviene da aziende americane, mentre oltre il 40% deriva da mercati esteri. A poco più di un mese dall’insediamento di Trump, il bilancio della sua agenda economica è già in rosso. Dall’inizio dell’anno, l’oro si è confermato come l’asset class più performante, mentre il mercato azionario ha stentato a mantenere la parità, superato da Europa e Cina. Le criptovalute, tanto sostenute dal presidente, hanno visto un calo del 25%, mentre gli investitori sperano in un intervento della Riserva strategica nazionale.
Negli ultimi mesi, l’S&P 500 ha registrato una perdita del 5% dai massimi storici, mentre il Nasdaq ha subito un calo di oltre il 7%. Tuttavia, la volatilità è stata molto più accentuata in alcuni settori. Le vendite dei cosiddetti “Magnifici 7”, titoli beneficiari dell’intelligenza artificiale, hanno subito una correzione tra il 20% e il 30%, influenzata da preoccupazioni riguardo a un rallentamento della domanda. A questo si aggiungono timori di recessione e un calo del PIL, con il sentiment degli investitori in declino.
I segnali di un rallentamento economico sono evidenti, come dimostra il calo della fiducia dei consumatori, il più significativo degli ultimi quattro anni, e le difficoltà del mercato immobiliare. Il modello previsionale del PIL della Fed di Atlanta ha mostrato uno dei cambiamenti più bruschi degli ultimi anni, passando al segno meno.
La cautela degli investitori si riflette anche nei rendimenti dei Treasury, scesi dal 5% di gennaio al 4,2%. Questo rappresenta un risultato modesto per il presidente, che ha enfatizzato la sua capacità di controllare inflazione e tassi di interesse. Sorprendentemente, il mercato prevede ora quasi tre tagli dei tassi da parte della Fed entro la fine dell’anno, mentre a gennaio si ipotizzavano aumenti. Sarà interessante osservare se tali cambiamenti influenzeranno il mercato del lavoro.
Le fluttuazioni sui titoli più detenuti dai risparmiatori e sulle criptovalute potrebbero avere ripercussioni significative sul “wealth effect”, ovvero la percezione della ricchezza, che a sua volta può influenzare il comportamento di spesa dei consumatori. Con l’economia americana che affronta sfide importanti, le risposte politiche e le dinamiche di mercato saranno cruciali nei prossimi mesi.