Il recente approccio commerciale adottato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si distingue per un obiettivo che trascende le mere questioni economiche. Secondo il professor Giulio Sapelli, esperto di Storia economica, la strategia di Trump si configura come una proiezione di potenza, finalizzata a promettere una significativa reindustrializzazione interna e a ottenere vantaggi nelle trattative internazionali. Sapelli ha condiviso queste riflessioni durante un’intervista con i media vaticani, sottolineando come il presidente interpreti le aspirazioni di un elettorato tradizionalista e conservatore, desideroso di recuperare il “sogno americano”.
L’applicazione dei dazi non è una novità nella storia economica mondiale. Questi strumenti, sebbene concepiti per tutelare le industrie nazionali dalla concorrenza sleale e per stimolare la produzione interna, hanno spesso avuto ripercussioni più ampie. Un esempio emblematico è rappresentato dallo Zollverein, l’unione doganale tedesca creata nel 1834 da Friedrich List, che non solo facilitò il commercio tra i vari Stati della Confederazione, ma contribuì anche a indebolire l’Impero austriaco, ponendo le basi per l’unificazione tedesca del 1871. Analogamente, i dazi imposti dalla Gran Bretagna sulle colonie americane, come quelli sul tè e sugli articoli stampati, furono tra i fattori scatenanti della lotta per l’indipendenza nel Nord America.
Oggi, la questione dei dazi lanciati da Trump si inserisce in un contesto di cambiamento profondo, definito dal professor Sapelli come un “cambiamento d’epoca”. Questi dazi sono parte di un fenomeno più vasto, legato all’espansione della globalizzazione, un processo che ha portato a una centralizzazione del capitale e a una crescente deindustrializzazione, in particolare negli Stati Uniti. Sapelli fa riferimento al film “Il cacciatore” del 1978, che ritrae la vita nella Rust Belt, una regione segnata dal declino industriale che coinvolge stati come Pennsylvania, Virginia, Ohio e Illinois. La globalizzazione ha accentuato la delocalizzazione delle produzioni verso Paesi a basso costo, generando un crescente malcontento tra i lavoratori americani.
Le implicazioni delle politiche commerciali di Trump non si limitano agli Stati Uniti, ma si estendono anche all’Europa, creando preoccupazione tra gli imprenditori. Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi di Confindustria, ha evidenziato come gli Stati Uniti rappresentino una delle principali destinazioni per i prodotti italiani, con vendite che nel 2024 hanno raggiunto circa 65 miliardi di euro. Fontana ha avvertito che l’incertezza riguardo alle misure tariffarie crea confusione tra le imprese, che vedono minacciato il proprio mercato. La variazione del cambio euro-dollaro, che è passato da quasi parità a 1.09, ha già reso i beni europei più costosi per i consumatori americani, aggravando ulteriormente la situazione.
Le politiche di Trump pongono sfide significative anche per l’Unione Europea, che, come osserva Sapelli, si trova a fronteggiare uno scenario complesso. L’Unione sta cercando di rispondere alle misure americane, ma lo sta facendo in modo confuso, senza una strategia chiara. Invece di concentrarsi su negoziati per risolvere conflitti come quello in Ucraina, l’Europa sembra più preoccupata di armarsi, correndo il rischio di isolarsi ulteriormente sul piano politico ed economico. La necessità di rivedere trattati come quello di Maastricht diventa sempre più urgente, mentre l’Europa si trova a dover affrontare una realtà in rapida evoluzione e potenzialmente destabilizzante.