
L’11 marzo 2022, durante un incontro informale a Versailles, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, alcuni giornalisti interrogarono l’allora Presidente del Consiglio, Mario Draghi, riguardo a un possibile avvento di un’economia di guerra in Europa. Draghi rispose con fermezza, escludendo tale possibilità. Tre anni dopo, la sua affermazione sembra ancora valida, ma la proposta di Ursula von der Leyen di investire fino a 800 miliardi di euro in spese e investimenti per la difesa e la deterrenza potrebbe segnare un cambiamento significativo.
Definizione di economia di guerra
Stabilire un concetto preciso di economia di guerra non è semplice, poiché ogni conflitto e periodo storico presenta caratteristiche uniche. Tuttavia, un elemento chiave di questa definizione è l’allocazione di una parte consistente del bilancio pubblico alle spese per la difesa, finanziato tramite debito pubblico. Una situazione che ricorda ciò che potrebbe accadere oggi si è già verificata con la pandemia da COVID-19. In quel frangente, la Commissione Europea attuò misure straordinarie, aggirando le regole sul deficit e sulla governance, per affrontare l’emergenza sanitaria. In quel caso, la priorità era la salute pubblica, mentre ora l’attenzione si sposta sulla sicurezza dei confini.
L’attuale piano europeo ReArm Europe non deve essere visto solo come un incremento degli arsenali militari. Le guerre moderne, a partire dalla Guerra Fredda, si svolgono su un piano di innovazione e tecnologia avanzata, le cui conseguenze influenzano profondamente la vita quotidiana. Ad esempio, Internet ha avuto origine come una tecnologia militare. L’innovazione rappresenta quindi una sfida che l’Europa deve affrontare per non rimanere esclusa dai mercati e dalle dinamiche globali.
La governance dell’Unione Europea e le nuove prospettive
La necessità di sentirsi più sicuri ha portato a un ripensamento della governance dell’Unione Europea, tradizionalmente considerata complessa, con regole rigide come quella dell’unanimità. Le minacce di conflitti futuri e la necessità di interventi diretti in situazioni di crisi hanno creato un contesto favorevole a cambiamenti. Un esempio emblematico proviene da Berlino, storicamente nota per il suo rigore di bilancio, che dopo le recenti elezioni ha mostrato una sorprendente apertura verso il indebitamento.
La semplificazione delle procedure per l’approvazione e l’implementazione di ReArm Europe rappresenta un passo significativo, così come l’intenzione di finanziare una parte consistente, circa 150 miliardi di euro, tramite titoli di debito garantiti dal bilancio europeo, noti come eurobond. Tuttavia, non si può considerare questa situazione come completamente positiva. L’esperienza del COVID-19, che ha portato alla creazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), dimostra che semplici buone intenzioni e progetti sulla carta non sono sufficienti.
Le sfide economiche e le aspettative future
Fino a oggi, l’Italia ha rispettato le scadenze e gli impegni previsti, ma le aspettative di crescita economica sono state ben più elevate di quanto realizzato. La crisi energetica, le difficoltà legate alle materie prime e l’instabilità alimentare hanno ulteriormente complicato il quadro. Quando il governo italiano ottenne l’approvazione per 200 miliardi di euro in prestiti a tasso agevolato, le previsioni economiche erano ottimistiche, ben lontane dalla crescita attuale, che si attesta attorno all’1%.
Questo scenario evidenzia che non tutti i progetti sono validi per stimolare l’economia e non ogni investimento genera il “moltiplicatore” economico, un concetto chiave per trasformare un euro di spesa pubblica in un reddito maggiore per cittadini, imprese e creditori. È fondamentale evitare di dirottare i fondi destinati alla coesione territoriale per finanziare ReArm Europe, poiché ciò rappresenterebbe un paradosso. La gravità delle minacce attuali richiede un impegno maggiore, non solo per evitare che l’Europa scivoli verso un’economia di guerra, ma per vincere la sfida di costruire un’economia più forte e liberale.