In un contesto di recessione economica che perdura da due anni, la Germania si trova a dover affrontare sfide significative. La situazione attuale è caratterizzata da un’industria che stenta a recuperare i livelli pre-pandemia e da un dibattito acceso sul rigore dei conti pubblici. Le difficoltà interne, unite alle ripercussioni di eventi geopolitici di grande portata, pongono interrogativi sul futuro economico del paese.
Negli anni passati, la Germania, sotto la guida di Angela Merkel, era vista come una potenza economica in grado di influenzare l’intera Europa. Il luglio 2015 segna un momento cruciale, quando la cancelliera impose condizioni severe alla Grecia, guidata da Alexis Tsipras, in un periodo di crisi del debito sovrano. Da allora, la crescita economica tedesca ha subito un cambiamento drammatico. Tra il 2010 e il 2019, l’economia tedesca ha registrato un incremento del 16,9%, mentre l’ Italia ha visto una crescita di solo l’1%.
L’economia tedesca, che occupa il terzo posto a livello mondiale dopo quelle americana e cinese, ha subito un colpo significativo. Negli ultimi due anni, il Prodotto Interno Lordo ha mostrato una contrazione, con un -0,3% nel 2023 e un -0,2% nel 2024. Le previsioni per il 2025 sono state riviste al ribasso, passando da un +1,1% a un modesto +0,3%. Dall’inizio della pandemia nel 2020, Berlino non è riuscita a tornare ai livelli economici pre-crisi, e il suo ruolo nell’ Unione Europea è diminuito.
La causa principale di questo declino è da ricercare nell’aumento dei costi energetici dopo l’invasione russa dell’ Ucraina e nella diminuzione delle esportazioni verso la Cina. Giacomo Calef, responsabile di NS Partners, sottolinea la mancanza di diversificazione nelle fonti di approvvigionamento energetico, che ha reso la Germania vulnerabile a fluttuazioni esterne. La scelta di dipendere dal gas russo, inizialmente motivata da ragioni geopolitiche, si è rivelata un errore strategico. Inoltre, il settore industriale ha risentito di questa crisi, con un calo delle esportazioni verso Pechino dopo il picco del 2022.
L’industria tedesca, simbolo della sua forza economica, ha subito un duro colpo. Dopo la riunificazione nel 1990, il settore ha conosciuto un periodo di crescita, ma la pandemia ha segnato un punto di svolta. Nel 2024, la produzione industriale ha registrato un calo del 12% rispetto al 2019, anno precedente all’emergenza sanitaria globale.
Il settore automobilistico, che per decenni ha rappresentato un vanto per la Germania, sta affrontando una crisi senza precedenti. Marchi storici come Volkswagen stanno valutando la chiusura di impianti e la riduzione della forza lavoro. Recentemente, Porsche ha annunciato il taglio di 1.900 posti di lavoro nei prossimi anni. Questa crisi ha ripercussioni anche sull’ Italia, che è fortemente legata all’economia tedesca, essendo uno dei principali fornitori di beni e servizi. Giuseppe Vita, esperto di economia, evidenzia l’importanza della cooperazione tra i due paesi, ma mette in guardia sulla necessità di un approccio più dinamico per affrontare le sfide attuali.
Il termine tedesco “Schuld” significa “colpa”, mentre “Schulden” si traduce in “debiti”. Questa distinzione ha influenzato la cultura politica tedesca, caratterizzata da un forte rigore sui conti pubblici. La filosofia della “Schwarze Null”, che prevede un bilancio statale in pareggio, ha guidato le politiche economiche degli ultimi anni. Nonostante il rallentamento economico, Berlino ha mantenuto un deficit sotto la soglia del 3% del PIL, a differenza di altri paesi come l’ Italia, che nel 2023 ha raggiunto un rapporto deficit/PIL del 7,4%.
La questione del “freno al debito”, o “Schuldenbremse”, inserita nella Costituzione nel 2009, è al centro del dibattito politico attuale. La recente caduta del governo di Olaf Scholz è stata in parte dovuta alle divergenze tra socialdemocratici e liberali riguardo all’allentamento di questa normativa. L’elettorato tedesco è particolarmente sensibile a questo tema, e il nuovo leader della CDU, Friedrich Merz, ha già aperto alla possibilità di rivedere le rigide politiche fiscali, rendendo il dibattito economico cruciale in vista delle elezioni anticipate del febbraio 2025.