La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha recentemente delineato un piano ambizioso per trasformare l’Unione Europea in una potenza militare, un’iniziativa che solleva interrogativi significativi riguardo alle priorità economiche e sociali del continente. In un contesto di crescente tensione geopolitica, la Commissione intende mobilitare un totale di 800 miliardi di euro attraverso una combinazione di obbligazioni e fondi, attingendo a risorse destinate a regioni e spese sociali degli Stati membri.
Il piano proposto da von der Leyen si articola attorno a cinque principi fondamentali, volti a garantire un aumento della spesa militare a scapito di altri settori. Il primo punto cruciale è la modifica del patto di stabilità europeo, che consentirebbe di incrementare la spesa per armamenti, mantenendo al contempo i tagli alla spesa sociale. In Italia, per esempio, i ministeri e gli enti locali subiranno un ridimensionamento di 12 miliardi di euro a partire da quest’anno, con la prospettiva che tali riduzioni possano aumentare.
Tra le proposte vi è l’allocazione di fondi non utilizzati per la coesione e lo sviluppo, tradizionalmente destinati a infrastrutture e politiche sociali, verso l’acquisto di armi come cannoni e droni. Questa scelta è stata definita da Kata Tütto, presidente del comitato europeo delle regioni, come un “errore catastrofico”. Tuttavia, von der Leyen sostiene che la produzione di armamenti stimolerà lo sviluppo regionale e la crescita economica. In questo scenario, il vicepresidente Raffaele Fitto ha mantenuto un profilo basso, evitando di commentare le implicazioni di tali decisioni.
La proposta di von der Leyen segna un netto distacco dalle politiche di solidarietà che avevano caratterizzato le risposte dell’Unione Europea durante la pandemia di Covid-19. In quel periodo, furono introdotti strumenti di sostegno come il piano “Sure”, che ha mobilitato 100 miliardi di euro per contrastare la disoccupazione, e il piano “Next Generation EU”, con un valore di 750 miliardi di euro, destinato a finanziare programmi di ripresa e resilienza, tra cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano.
La retorica utilizzata da von der Leyen, che richiama l’era della guerra fredda e la teoria della deterrenza, evidenzia un cambiamento radicale nella direzione politica dell’Unione. I meccanismi finanziari già utilizzati per le misure di emergenza passeranno a sostenere l’industria bellica, mentre i cittadini, in particolare i disoccupati e i lavoratori precari, si trovano a fronteggiare un futuro incerto.
Un aspetto significativo del piano “Riarmare l’Europa” è che i prestiti previsti dovranno essere rimborsati, a differenza delle sovvenzioni gratuite del passato. Von der Leyen ha fissato l’obiettivo di raccogliere 150 miliardi di euro attraverso obbligazioni in un arco di quattro anni, garantendoli con il bilancio europeo. Questa cifra, sebbene possa sembrare ingente, è in realtà inferiore rispetto ad altre misure di sostegno precedenti.
A confronto, gli Stati Uniti hanno stanziato 883 miliardi di dollari per la difesa solo nel 2025, mentre l’Unione Europea si propone di raccogliere 800 miliardi nel medio termine, un obiettivo che appare più simbolico che sostanziale. Guntram Wolff del Bruegel Institute ha sottolineato che, sebbene vi siano segnali di progressi, mancano azioni concrete sui fondi comunitari e sugli appalti congiunti, lasciando i paesi con elevato debito, come Italia e Francia, a dover affrontare scelte difficili in materia di spesa sociale.
In questo contesto, l’Italia si trova a dover aumentare ulteriormente le proprie spese militari, con una potenziale crescita fino a 20 miliardi di euro, a fronte di una spesa complessiva di 32 miliardi per la difesa e la sicurezza. Tuttavia, il criterio per misurare tale aumento rimane incerto, e la sostenibilità di un simile incremento per paesi già in difficoltà economica è tutta da verificare. La strada verso un’Europa militarizzata è lunga e complessa, ma la Commissione sembra determinata a percorrerla rapidamente.