Oltre il 90% delle ostriche consumate in Italia proviene dall’estero. Con l’intento di contrastare i danni causati dal granchio blu, i pescatori di Fedagripesca Confcooperative propongono una riconversione degli allevamenti di vongole, attualmente decimati, in allevamenti di ostriche. Questa iniziativa potrebbe generare un fatturato di 60 milioni di euro, con un indotto che potrebbe superare il mezzo miliardo. La richiesta è stata presentata durante un’audizione alla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati il 25 marzo 2025.
I danni inflitti dal granchio blu agli allevamenti di vongole italiani ammontano a circa 200 milioni di euro. Questo predatore, originario dell’Atlantico, ha ridotto drasticamente la produzione di vongole, costringendo i pescatori a cercare soluzioni alternative. Le ostriche, a differenza delle vongole, mostrano una resistenza maggiore agli attacchi del granchio blu. Questa caratteristica le rende candidate ideali per la ripopolazione delle aree del Delta del Po, gravemente danneggiate dalla predazione. Paolo Tiozzo, vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca, ha sottolineato l’importanza di ridurre l’aliquota IVA sulle ostriche dal 22% attuale al 10%, in quanto i produttori europei beneficiano già di questa agevolazione.
Secondo l’ultimo rapporto della FAO, le ostriche costituiscono circa il 20% della produzione acquicola mondiale, con previsioni che indicano un incremento fino al 50% entro il 2050. Attualmente, le ostriche rappresentano il mollusco bivalve più allevato e consumato, con quasi 6 milioni di tonnellate prodotte ogni anno. In Italia, il consumo annuale di ostriche si attesta intorno alle 10mila tonnellate, per la maggior parte importate da Francia, Olanda e Irlanda. Nonostante la crescita dell’ostricoltura italiana, la produzione attuale è limitata a meno di 300 tonnellate all’anno.
Tiozzo ha evidenziato come la produzione di ostriche sia altamente sostenibile, in quanto contribuisce a ridurre l’impatto ambientale. Le ostriche, infatti, catturano CO₂ dall’acqua per formare i loro gusci di carbonato di calcio. Con un chilogrammo di ostriche, è possibile sottrarre fino a 500 grammi di CO₂ dall’ambiente, contribuendo così alla mitigazione dell’acidificazione degli oceani e diventando uno strumento utile nella lotta ai cambiamenti climatici.
Le prospettive di crescita per l’ostricoltura in Italia sono significative. Se ogni marineria avesse un produttore di ostriche con una produzione di circa cinquanta quintali, si potrebbe raggiungere l’obiettivo di 60 milioni di euro all’anno. Tiozzo ha citato alcune varietà di ostriche italiane già apprezzate all’estero, come l’ostrica rosa di Scardovari e l’ostrica verde del Golfo dei Poeti. Sviluppare questa filiera potrebbe non solo rilanciare l’economia ittica, ma anche generare nuovi posti di lavoro e contribuire a un indotto che superi il mezzo miliardo di euro.
Negli anni precedenti alla crisi del 2008, il consumo di ostriche in Italia aveva raggiunto un picco di circa 8mila tonnellate all’anno. Dopo un calo significativo, dal 2014 si è registrata una ripresa. La domanda di ostriche è principalmente orientata verso il settore della ristorazione, dove il 99% delle produzioni, sia nazionali che estere, trova collocazione. Le festività natalizie recenti hanno visto un incremento del 20% nelle vendite delle ostriche italiane, anche a causa di difficoltà riscontrate da alcuni impianti francesi, favorendo così le produzioni locali.