
Ci si rende conto del cambiamento dell’economia milanese semplicemente passeggiando per le sue strade. A Milano, i negozi indipendenti e artigianali sono sempre meno visibili, sostituiti da ristoranti e catene commerciali. Nuovi grattacieli, dedicati a banche e società di consulenza, sorgono nel panorama urbano, mentre edifici storici vengono trasformati in megastore di lusso.
Tra il 2015 e il 2022, l’economia milanese ha registrato una crescita significativa, accrescendo il suo peso nell’economia nazionale. Il valore aggiunto generato dalle imprese con sede a Milano è aumentato da €52 miliardi a €82 miliardi, passando dal 7,3% all’8,2% del totale nazionale. Escludendo il settore energetico, influenzato dall’aumento dei prezzi delle materie prime, il commercio si conferma il comparto più rilevante, con una crescita dal 40% al 43% del fatturato cittadino. La manifattura, pur mantenendo una posizione di rilievo, ha mostrato un lieve calo, mentre le attività professionali, scientifiche e tecniche hanno registrato un incremento.
Tuttavia, questa crescita economica non ha portato a benefici distribuiti equamente. Tra il 2008 e il 2022, il reddito medio dei milanesi è aumentato da €30.554 a €39.039, ma con un’inflazione del 26,5% nello stesso periodo, il potere d’acquisto è diminuito del 21%. Per coloro che dichiarano meno di €15.000 all’anno, non solo non si è verificato un adeguamento all’inflazione, ma il reddito nominale medio è addirittura sceso, passando da €7.414 a €6.870. Con 320.000 milanesi appartenenti a questa fascia di reddito nel 2022, rappresentano il gruppo più numeroso in città e quello che ha subito le maggiori perdite.
Parallelamente, è cresciuto il numero di milanesi con redditi elevati. I contribuenti con redditi inferiori a €26.000 sono diminuiti di quasi 100.000 unità , passando da circa 540.000 nel 2022, mentre quelli con redditi superiori a questa soglia sono aumentati di oltre 115.000, raggiungendo circa 450.000. Ci si interroga se siano aumentati i redditi o cambiati i milanesi: i dati non forniscono risposte certe, ma è probabile che entrambe le situazioni siano vere. Alcuni redditi sono cresciuti, mentre, considerando i trend demografici, Milano ha attratto persone qualificate e ad alto reddito, mentre molti milanesi non sono riusciti a sostenere il costo della vita.
L’analisi di questa trasformazione economica è stata condotta durante un incontro del percorso “Hey Milano, come stai?” organizzato dal Centro Caldara, con la partecipazione di Dario Di Vico. Sono stati esaminati tre settori chiave: l’immobiliare, l’economia del sapere e il turismo di lusso.
L’immobiliare ha rappresentato il fulcro di questa trasformazione. Dal 2015, i prezzi delle abitazioni a Milano sono aumentati del 65%, rispetto al +10% di Torino e al +6% di Roma. Comprendere chi acquista casa è fondamentale per spiegare questo boom: solo il 66% degli acquisti riguarda la prima casa, il che significa che un terzo delle transazioni è effettuato per investimento. Inoltre, il 12% delle vendite riguarda immobili nuovi, un segnale evidente dell’intensa attività edilizia degli ultimi anni.
Il fattore determinante di questa tendenza è costituito dagli investimenti “corporate”, che comprendono fondi immobiliari, private equity e fondi pensione, aumentati notevolmente dal 2015. Nel 2010, Milano assorbiva il 29% degli investimenti immobiliari corporate in Italia; nel 2015 questa percentuale è salita al 54%, per poi scendere al 45% nel 2024. La maggior parte di questi investimenti è andata a uffici, ma circa un terzo ha riguardato hotel e abitazioni.
La concentrazione di capitale in un’area così ristretta ha inevitabilmente portato a un aumento dei prezzi e alla trasformazione dell’immobiliare in un bene d’investimento. La casa non è più solo un bene residenziale, ma sta diventando sempre più un asset finanziario.
Si è poi analizzato se Milano ha investito nell’economia avanzata e innovativa, esaminando l’economia del sapere, che comprende università , ricerca, start-up e servizi ad alta specializzazione. Questi settori hanno il potenziale di generare occupazione ben retribuita, contribuendo a benefici duraturi per l’intera città .
Milano è una città universitaria con oltre 210.000 iscritti, di cui più della metà fuori sede. Tuttavia, la capacità di queste istituzioni di generare innovazione è ancora limitata. Il Politecnico di Milano, che deposita il maggior numero di brevetti in Italia, ha presentato 809 brevetti tra il 2000 e il 2020, mentre l’Università Statale ne ha depositati 682. A confronto, il Politecnico di Monaco ha registrato 2.183 brevetti, l’Université Grenoble Alpes 3.348, evidenziando la carenza di risorse per le università milanesi.
I percorsi post-laurea riflettono questa fragilità : il numero di dottorandi e specializzandi è aumentato da 8.270 nel 2014 a 14.486 nel 2022, ma la media salariale è rimasta intorno a €17.000 l’anno, un livello inadeguato per una città costosa come Milano. Tra i laureati del Politecnico, il 60% degli studenti italiani e il 44% degli stranieri rimane a lavorare in città , ma chi resta in Italia guadagna in media €1.800 netti al mese, mentre chi trova lavoro all’estero arriva a €2.800.
Nel confronto internazionale, Milano fatica a posizionarsi come polo di innovazione. Nel 2024, le start-up milanesi hanno raccolto 500 milioni di euro in investimenti, un dato modesto rispetto ad altre città europee, risultando al 20° posto nel continente. Monaco di Baviera ha attratto quasi 3 miliardi, posizionandosi al 4° posto in Europa. Milano ha un solo unicorno, Satispay, e in un’analisi di 37 ranking condotta da Assolombarda, si è classificata 41ª per ecosistema dell’innovazione e 56ª come hub di attrazione di talenti, molto lontana da città come Berlino, Amsterdam o Monaco.
La città accoglie numerose università e attrae ogni anno migliaia di studenti e giovani qualificati, ma fatica a trasformare questo potenziale in un ecosistema innovativo solido, capace di attrarre investimenti e generare lavoro di qualità .
Infine, il turismo ha visto un notevole incremento negli ultimi anni. Gli arrivi a Milano sono quasi raddoppiati, passando da 3,4 milioni nel 2008 a 6,2 milioni nel 2023. L’aumento è trainato soprattutto dai turisti internazionali, che nel 2023 hanno superato i 4,2 milioni.
Una parte crescente di questi turisti sceglie di alloggiare in case private: le notti prenotate su Airbnb sono passate dal 4% del totale nel 2008 al 36% nel 2023. Gli arrivi più numerosi provengono dagli Stati Uniti (oltre 500.000), seguiti da visitatori francesi (340.000) e altri europei. In media, gli stranieri soggiornano più a lungo degli italiani, con una media di 2,4 notti contro 2, e spendono di più.
Il turismo di lusso si sta affermando come un settore sempre più rilevante per l’economia cittadina. Negli ultimi dieci anni, il numero di hotel a 5 stelle è aumentato del 56%, raggiungendo un totale di 31, con altre 7 aperture previste prima delle Olimpiadi del 2026. Il prezzo medio per notte, a settembre 2024, varia notevolmente tra le catene internazionali e gli hotel in generale, rispettivamente €245 e €163, entrambi in forte crescita.
Secondo Di Vico, questo fenomeno indica che il turismo di lusso spinge in alto i prezzi della città e che è principalmente organizzato attraverso piattaforme globali, che estraggono la maggior parte del valore generato. Si crea così una dinamica che separa nettamente chi beneficia di questi sviluppi da chi ne è svantaggiato. La crescita del turismo di lusso genera nuove rendite per pochi, come proprietari di immobili, hotel e ristoranti, ma contribuisce anche all’aumento dei prezzi e al deterioramento delle condizioni di vita per chi abita e lavora a Milano.
L’immobiliare dominato dagli investimenti, un’economia del sapere fragile e un turismo concentrato sul lusso delineano un’economia che sembra premiare le rendite. Chi possiede immobili e capitale ha visto crescere la propria ricchezza, mentre chi vive di stipendio affronta crescenti difficoltà nel mantenere uno standard di vita dignitoso. I processi di globalizzazione e finanziarizzazione hanno favorito settori ad alta concentrazione di capitale, come il real estate e il turismo di alta gamma, a scapito di quelli legati al lavoro e alla produzione diffusa. Se questa tendenza continuerà , i milanesi rischiano di diventare comparse in un contesto in cui i protagonisti sono altri: turisti milionari, proprietari di Airbnb e imprenditori che offrono salari insufficienti.
Questa situazione impone una revisione profonda del modello di sviluppo urbano. Chi aspira a governare Milano dovrebbe partire da questi dati e chiedersi come invertire il rapporto tra rendite e lavoro, affinché la città torni a essere un luogo in cui il lavoro genera benessere e i milanesi possano tornare a essere protagonisti.